L’Adblocker è la fine della pubblicità online?

PageFair ha pubblicato pochi giorni fa il report The State of the blocked web in cui si evidenzia che la crescita dei software per il blocco della pubblicità erogata dai siti web è in vertiginoso aumento. La ricerca evidenzia che nel dicembre 2016 sono stati installati adblocker su circa 600 milioni di device e che la percentuale della popolazione internet, a livello globale, che ne fa uso ha raggiunto le due cifre (11%).

Un altro studio di HubSpot Research (Why People Block Ads and What It Means for Marketers and Advertisers), condotto su circa mille intervistati tra Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Francia, evidenzia che l’83% del campione ritiene che negli ultimi due anni la pubblicità erogata dai siti web sia raddoppiata sia per invasività che per quantità e non è più disposto a tollerarla e il 77% degli intervistati è pronto ad installare un adBlocker.

Uno studio di Juniper infine quantifica in moneta sonante l’impatto degli adblocker e prevede che entro il 2020, gli editori perderanno circa 27 miliardi di dollari a causa del crescente uso di questi software.

Questi dati proiettano un’ombra minacciosa sulle prospettive dei publisher che, con un calo del fatturato advertising, non avrebbero i mezzi per produrre contenuti di qualità, a meno di non sollevare paywall e chiedere ai lettori di pagare per i contenuti. Ma quest’ultimo è un modello irto di difficoltà, specie per gli editori minori e poco specializzati.

Ad una lettura più approfondita emergono però alcuni dettagli interessanti. Infatti la maggioranza degli intervistati nella citata survey di Hubspot ha affermato che preferirebbe filtrare la pubblicità anziché bloccarla del tutto. Il 57% afferma inoltre che esistono annunci pubblicitari utili come quelli presenti nella SERP dei motori di ricerca. Un sondaggio dell’Internet Advertising Bureau evidenzia inoltre che due terzi degli utenti che navigano con adBlocker sarebbero disponibili a disattivarli qualora non fossero presenti overlay che bloccano il contenuto, seguono l’utente sullo schermo o rallentino la visualizzazione delle pagine.

Il dito accusatore dei navigatori non è quindi puntato contro la pubblicità tout court ma contro l’advertising invasivo, urlato e non pertinente che aumenta i tempi di caricamento delle pagine, impedisce la navigazione e costringe il lettore ad un percorso ad ostacoli per la fruizione del contenuto.

Chiarito quindi che il tradizionale modello dell’interruption marketing con overlayer e formati invasivi non è più percorribile, quali sono le strade alternative?

Il report di eMarketer “Native Advertising in Western Europe: Paid Content Placements Gain Fans Throughout the Region“ evidenzia che editori e publisher iniziano a migrare verso il content marketing, le sponsored stories e il native advertising. L’obiettivo è confezionare messaggi pubblicitari che mirano al coinvolgimento della audience e si integrano con gli interessi e i flussi di navigazione degli utenti. Una ricerca di Enders Analysis prevede che gli investimenti in native advertising supereranno i 13 miliardi di euro nel 2020 e rappresenteranno il 52% del fatturato totale dell’internet display.

Il modello di comunicazione dei brand è destinato a spostarsi rapidamente dalla mera interruzione pubblicitaria alla creazione di relazione con la audience, presidiando tutti i canali in cui i prospect cercano informazioni inerenti alle proprie decisioni di acquisto, implementando sponsorizzazioni native e investendo su contenuti di qualità che stimolino l’engagement dei potenziali clienti. Social media, SEO, blogging, content marketing, DEM, sono il terreno di azione che le piattaforme di lead management e marketing automation devono gestire in modo complementare e granularmente profilato.

La conclusione quindi è che l’adblocker non è lo spietato assassino della pubblicità ma solo il sintomo di un cambiamento che è già consolidato nella dieta mediatica dei consumatori. Le piattaforme social, Facebook e Twitter in testa, con il messaggio sponsorizzato profilato e integrato nel newsfeed, unitamente al modello della SEM hanno generato un’esperienza che è ormai la norma nell’ecosistema digitale. E per i dinosauri, abbarbicati ai vecchi banner, il futuro sembra già scritto.

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Alfredo Iannone

Mi occupo appassionatamente di interazione digitale con particolare riferimento ai modelli di advertising, alla UX mobile e alle tecnologie pervasive. Sono direttore di Veesible, la concessionaria pubblicitaria del gruppo Tessellis. Sono stato Digital Media Director presso Tiscali spa e responsabile di Tiscali.it, uno dei maggiori siti web italiani. Ho collaborato con Yahoo!, MSN, RAI, CNR e ho coordinato il Master in New Media presso lo IED

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